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Una coltre fittissima di margherite, che nascono spontanee ogni anno a primavera, è il benvenuto che riserva il prato antistante il Tempio della Fraternità di Cella, piccolissima frazione del comune di Varzi (PV), che oggi conta non più di una sessantina di abitanti, tutti benevoli verso quest’opera visionaria, unica nel suo genere, ancora capace di richiamare gente fin quassù, dove si giunge attraverso un dedalo di stradine da percorrere con prudenza. C’è stato anche il tempo in cui le rondini entravano nel Tempio, volando e cinguettando e pure nidificando indisturbate, protette da quel prete di montagna amico di tutti, don Adamo, che ammoniva i bambini a non disturbarle perché: “Provengono da Paesi lontani e sono messaggere di fraternità”. Simboli, se vogliamo, segnali di quella vita che è più forte di ogni bruttura. Che fare per il ritorno della concordia fra gli uomini e le nazioni Ne sapeva qualcosa il don che, al rientro dell’esperienza di guerra…. come cappellano militare, aveva chiesto al Vescovo di essere mandato in un posto isolato, lontano dalle atrocità che aveva dovuto vedere, per ritrovarsi. Nel suo cuore il proposito, appena gli fosse stato possibile, di fare qualcosa per il ritorno della concordia fra gli uomini e le nazioni. Quando ormai il suo pensiero si era assestato sull’idea che null’altro avrebbe potuto che educare fanciulli e giovani a quegli ideali, oltre che pregare, è accaduto che alla fine del 1951 abbondanti piogge abbiano reso franosa la zona e quindi inagibili chiesa, casa del parroco e campanile, già gravemente lesionati da una scossa di terremoto. Da qui il dilemma se intervenire su quelle strutture o ricostruire. Le macerie della vecchia chiesa richiamavano alla mente di don Adamo quelle tante rovine di guerra che si sarebbero potute raccogliere da ogni dove (nel mondo) per inglobarle, nel vero senso della parola, nella realizzazione di un nuovo tempio, come a simboleggiare la ricostruzione della fratellanza umana. Un segnale - è il caso di dirlo - che la vita gli ha messo davanti in quel periodo - perché è questo che capita in certi frangenti - come per incoraggiarlo a fare quella scelta.
Di cosa può essere capace un “semplice” parrocrhetto di montagna Gliel’aveva predetto Dino Buzzati, incontrato al Corriere della Sera: “Guardi, se lei fosse qui a Milano o in qualche altro grosso centro la sconsiglierei. Così pure la sconsiglierei se lei fosse un monsignore, un prelato avente una forza propria…ma proprio perché è un semplice parrochetto di campagna, e di campagna sui monti, quello che sembra la sua debolezza sarà la sua forza, perché sarà preso in considerazione da molti, e sarà aiutato”. E così è stato come ci raccontano Matteo e Giancarlo, che in certo senso hanno raccolto insieme ad altri affezionati abitanti del luogo il testimone da don Adamo, continuando a prendersi cura del tempio - oggi anima esclusiva di questa piccola frazione che a suo tempo è stata un’importante rocca difensiva - onorando la straordinarietà di un don con cui sono cresciuti: aperto a tutti, mai giudicante e capace di buttarsi con le sue esili forze in un’avventura più grande di lui, con la fiducia di chi si lascia guidare da un certo sentire. Come, a fronte del dubbio sul che fare, quell’aver preso “d’istinto” un treno che lo ha condotto a Torino e da lì essersi imbarcato per Parigi senza una ragione ben precisa, finché per una serie di fortuiti incontri non si è trovato davanti all’allora Nunzio Apostolico Angelo Roncalli, poi divenuto Papa Giovanni XXIII. Questi non ha solo accolto favorevolmente l’iniziativa ma l’ha pure incoraggiata e si è premurato di inviare la prima pietra per la costruzione del tempio - prelevata da una chiesa nei pressi di Coutances, distrutta durante lo sbarco in Normandia -, togliendo ogni dubbio su quale fosse la strada da percorrere.
La deposizione della prima pietra del Tempio della Fraternità È il 7 settembre 1952 quando si organizzano slitte (carri senza ruote) trainate da buoi per portare sul sagrato della chiesa diroccata una piccola delegazione proveniente da Parigi e procedere con la deposizione della prima pietra. Ha inizio così, ufficialmente, la costruzione del Tempio, che si ispirerà alle chiese francesi, con il campanile incorporato nella facciata. Don Adamo si spende senza riserve per far conoscere il progetto e fa arrivare il messaggio ovunque perché si inviino pezzi delle rovine delle guerre nel mondo (che nel 1951/52 erano ancora tante). “Tutto questo in anni in cui il paese si stava spopolando. Un atto doppiamente coraggioso” - ci tiene a sottolineare Giancarlo, che insieme a Matteo ripercorre con noi quegli anni intensi, surreali per alcuni aspetti, ma veri, vitali e di senso. Un senso più che mai attuale, bruciante.
Rovine di guerra diventano simboli di vita Sono giunti aiuti oltre che dall’Italia, anche dall’estero, dove don Adamo aveva instaurato contatti con Corpi diplomatici, uffici culturali delle ambasciate, associazioni di reduci, missionari, comunità italiane (“Cerchi di non avere il molto da pochi ma il poco da molti, così avrà più amici legati al suo Tempio” così si era raccomandato a don Adamo un gruppo di italiani emigrati e in effetti così è stato). E oltre agli aiuti hanno iniziato a pervenire pure le rovine di guerra richieste un po' ovunque. Se all’inizio erano pietre informi, blocchetti di cemento, addirittura calcinacci che al loro passaggio dagli uffici doganali lasciavano qualche perplessità (temevano trappole) e che il don aveva poi cura di far incastonare nel muro in costruzione, in un secondo momento invece, grazie ad articoli giornalistici e servizi televisivi, hanno iniziato ad arrivare anche resti artistici, veramente da tutto il mondo, che sono stati utilizzati per arredare il Tempio, inaugurato nel 1958 secondo una concezione ben precisa. Un luogo che vuole essere per tutti Niente marmi, dipinti e arredi preziosi ma pezzi di guerra alquanto evocativi trasformati in simboli di vita, per mano dello stesso don Adamo, sono andati via via a significare quel luogo unico che voleva essere per tutti e che di fatto era anche una chiesa parrocchiale che stava risorgendo. Ecco il significato delle tante bandiere nazionali allineate alle pareti, a fare da sfondo a un altare, composto da materiali provenienti da un centinaio di località diverse dove la guerra ha maggiormente infuriato (Berlino, Londra, Dresda, Varsavia, Montecassino, El Alamein e pure Hiroshima e Nagasaki). Sopra lo stesso altare è calato dal soffitto un paracadute aperto, 90mq di seta, a gravitare il messaggio che qualsiasi cosa ci possa succedere nella vita Dio ci concede un ideale paracadute che ci salvi, pur ammaccandoci. Un altro elemento di forte significato è il tabernacolo costituito da un proiettile di cannone 305, dono della Marina Militare, e non da meno il fonte battesimale realizzato dentro un otturatore di cannone 305 della corazzata Andrea Doria, divenuto da strumento di morte a simbolo di vita. Messaggi forti, profondi, si rincorrono. E quanto ne abbiamo bisogno di raccoglierli, tutti quanti noi, nessuno escluso, su quella strada di valori universali che trascendono la religione, per chi non crede, ma trovano punti di incontro e coincidenza, anche in luoghi come il tempio in oggetto. Questa almeno è stata la volontà di don Adamo, così benevolo verso tutti, pronto ad accogliere chiunque senza distinzioni.
Ogni pezzo è frutto di pensiero Dicevamo che sono tanti i simboli su cui soffermarsi come quel gigante Cristo a muro, composto con armi insanguinate, tutte con una storia particolare e pervenute da ogni dove, che intende esprimere un Cristo costituito dai nostri dolori (prendiamo l’aureola, che circonda il capo di Cristo, per esempio. Questa non è che una “forca” che viene dal Congo, ossia un anello di ferro apribile che i predoni arabi mettevano al collo dei negri). E pure quel pulpito realizzato con i resti di due navi inglesi che hanno partecipato allo sbarco in Normandia, come simbolo di pace che naviga nell’agitato mare dell’oggi. Oppure le sabbie dei fiumi principali e più significativi del globo (giusto i fiumi e non i mari proprio per la loro maggiore varietà) raccolte in tasche di legno allineate sulla balaustra per significare una riva ideale di pace per tutti. E potremmo continuare ad oltranza perché lì dentro ogni minima cosa è frutto di pensiero, ha un senso ben preciso. Il nostro consiglio è di approcciare con mente libera e materiale informativo, in dotazione all’ingresso, alla mano…sempre che non si abbia la fortuna di imbattersi in qualcuno degli angeli custodi che si stanno prendendo cura di questo luogo. Come Nadia e la sua famiglia, nel suo infaticabile ruolo di aprire e chiudere il tempio. E con lei altri si adoperano per mantenerlo vivo.
È di nuovo il tempo del Tempio della Fraternità Ci sono luoghi senza tempo per la potenza del messaggio che gravitano ma ci sono tempi, come questo che stiamo vivendo, in cui è più necessario che mai ricordarci che questi luoghi esistono. Mettiamo il più al corrente possibile la gente di questo, facciamolo sapere, che la voce arrivi ben in alto – dove si possono prendere decisioni - , perché è troppo attuale il messaggio gravitato. Manteniamoli vivi, luoghi come questo, con la nostra presenza, usiamoli per instillare nelle nuove generazioni il ribrezzo per la guerra e l’anelito alla pace. I ragazzi sono molto più sensibili di quanto immaginiamo. Ma il lavoro dobbiamo farlo a partire da noi adulti… Tante volte don Adamo ha raccontato questo progetto che spingeva forte dentro di lui, come se sentisse che sarebbe servito come monito ben oltre quel dopoguerra. Tante volte con pazienza lo ha raccontato per portare chi lo ascoltava su quel disegno che poteva apparire folle ma aveva una forza così prorompente da riuscire a imporsi. E lo ha fatto con la spiazzante semplicità di un prete di montagna che ti dice: “Sediamoci qui all’ombra di questo grande abete che ti racconto…” abete che si trova proprio di fronte a quella distesa di margherite che compare a primavera - e qui la vita si manifesta dirompente - davanti a bombe e missili che compongono l’altare della Marina.
PER VISITARE IL TEMPIO Dal 1° aprile al 30 ottobre: tutti i giorni dalle 9 alle 18,30 Negli altri mesi invernali: sabato e domenica dalle 9 alle 17, oppure avvisando anche negli altri giorni Matteo al +39 348 0449423 Nadia al +39 333 1061550
Ristorante Buscone
Ristorante storico, sito in un caratteristico e curatissimo borgo di case in pietra, a pochi km da Cella di Varzi, impegnato da 50 anni nella produzione (non mancare il salame Varzi) e ricerca di prodotti locali di qualità, che propone piatti della tradizione della Valle Staffora. La guida Michelin lo ha nominato fra i ristoranti bib gourmand della propria guida, per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Località Bosmenso Superiore, 41, 27057 Bosmenso Superiore, Varzi (PV) Tel. +39 0383 52224 info@ristorantebuscone.it www.ristorantebuscone.it
La Ginestrella Nonostante le sue piccolissime dimensioni Cella di Varzi conta un albergo e ristorante a conduzione familiare, che consente di vivere l’atmosfera essenziale di quel luogo, dove trovare un immancabile salame di Varzi di propria produzione, i tipici ravioli di brasato ma anche gnocchetti di castagne o piatti di zone limitrofe come la bagna cauda… tutto all’insegna della semplicità di una famiglia bendisposta ad accogliere A pranzo il menù è fisso. Frazione Cella, 32, Varzi (PV) Tel. +39 0383 52150 ristginestrella@libero.it www.ristorantelaginestrella.it
La Primula bianca Pranzare di gusto, seppur a menù fisso, e sublimare l’esperienza la sera o nelle giornate di festa quando la scelta dei piatti, tutti curati e piacevoli, si amplia. Anche il buon bere ha un suo spazio di tutto rispetto. La cordialità è di casa in quest’altro ristorante storico, in auge dal 1969. Per chi intendesse rimanere qualche giorno in zona la struttura dispone anche di stanze per il pernottamento. Frazione Castellaro, 30 Castellaro (PV) Tel. +39 0383 52160 www.primulabiancavarzi.it